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Ritorno all'origine


Nella terrazza della vecchia casa di un solo piano, un asta bandiera sfoggiava un tricolore emblema. Lo stendardo deteneva nella sua parte centrale la figura di un'altezzosa aquila divorando un serpente. Una leggera brezza faceva sventolare lievemente la bandiera. Alla porta d'ingresso una placca di metallo indicava che in quella casa era ubicato il consolato messicano della città di Hong Kong.

Regina e il suo accompagnatore -un inglese di età avanzata, funzionario della Croce Rossa Internazionale- scesero da un'automobile proprio di fronte al consolato. Lo sguardo della giovane si posò nella bandiera e immediatamente si verificò al suo interno una tellurica commozione. Disordinate e imprecise immagini emergevano dal più profondo della sua coscienza. Con lampeggiante velocità sfilava per la sua mente una varia collezione di persone ed eventi di cui fino a quel momento non possedeva memoria alcuna. Inciampando e facendo un sovrumano sforzo per ritornare alla realtà ordinaria, Regina entrò nel consolato.

La Dakini e il funzionario della Croce Rossa furono assistiti da un impiegato di elegante abbigliamento, cancelliere del servizio esterno messicano, il quale cominciò a esaminare, con la massima cura, i diversi documenti che, per provare la sua nazionalità, la giovane portava con sé. La accurata attenzione ed evidente sfiducia con cui tale soggetto esaminava i documenti fecero ricordare a Regina al direttore della prigione di Chengtu. Concluse fra sé e sé che apparentemente gli impiegati del governo di qualsiasi parte del mondo si assomigliavano moltissimo.

Mentre l'impiegato esaminava più e più volte i documenti, un quadro di regolari dimensioni appeso in una delle pareti della stanza aveva attirato l'attenzione di Regina. Il quadro conteneva una incisione che riproduceva un grande monolito, pieno di geroglifici. Ai piedi dell'incisione si riusciva a leggere una frase scritta in spagnolo: "La Piedra del Sol o Calendario Azteco".

Senza fermarsi a pensare quello che diceva, Regina esclamò entusiasmata:

-Quella scultura deve averla fatto Técpatl. È straordinaria, spiega tutte le questioni fondamentali legate al tempo e allo spazio.

L'impiegato consolare smise di esaminare i documenti e inchiodò nella giovane un sguardo di traboccante sospetto. Regina pretese di fare un chiarimento ma questo complicò ancora di più le cose:

-Beh, in realtà non ricordo di aver visto Técpatl intagliare quella scultura, ma ha tutte le caratteristiche del suo stile.

-Dello stile di chi? -domandò l'impiegato sempre più sospettoso.

-Di Técpatl, il geniale scultore che promosse in Messico tutto un rinascimento artistico.

-E lei lo ha conosciuto?

-Beh... sì -rispose la Dakini senza potersi spiegare lei stessa il perché di tale risposta.

Nel viso dell'interlocutore di Regina si riflettè un beffardo sguardo. Senza cercare di dissimulare il sarcasmo affermò:

-Caspita, allora lei sì che rappresenta molto meno età di quella che ha. Tale scultura deve essere del secolo XV o XVI. Non avrei mai immaginato che lei potesse avere tanti anni, mi deve spendere la ricetta per non invecchiare.

Regina capì di aver detto troppo e si rimproverò internamente. L'impiegato sostituì il suo beffardo atteggiamento per un'altro tra dottorale e minaccioso:

-In caso lei non lo sapesse le opere d'arte nel Messico Preispanico erano realizzate in modo impersonale e collettivo. Gli storiografi ignorano non solo il nome degli autori del Calendario Azteco, ma da qualsiasi altro artista di quell'epoca. Spero che i documenti che lei ci porta siano più affidabili di quello che mi ha appena detto, altrimenti credo che resterà per sempre in Cina.

-Mi scusi, francamente non so perché l'ho detto; ad un tratto, nel vedere l'incisione, ho creduto ricordare molte cose che ignoravo, probabilmente era solo la mia immaginazione.

Le parole di Regina -e soprattutto il franco tono conciliatorio in cui erano state pronunciate- sembrarono calmare un po l'animosità dell'impiegato, il quale diede fine all'intervista con frasi autoritarie ma già prive di minacce:

-Ritorni entro una settimana, spero che a quel punto avremo una risoluzione per lei. Oggi solo le prenderemo le impronte digitali per confrontarle con quelle dei suoi documenti. Le compileremo una ricevuta per i suoi documenti.
Le gestioni di Regina per ottenere il riconoscimento della sua nazionalità -e la conseguente autorizzazione per poter viaggiare in Messico- non ci misero una settimana bensì quasi un mese. Durante questo periodo la giovane rimase nel campo rifugiati che la Croce Rossa sosteneva a quel tempo nella città di Hong Kong. Non furono giorni persi. Abituata al pieno utilizzo del suo tempo, seppe sfruttare al massimo il suo forzato soggiorno in uno dei porti più popolosi del mondo.

Notando che il campo rifugiati soffriva di gravi carenze in materia di salubrità, Regina propose alle autorità dello stesso l'adozione di varie misure sull'argomento, imparate nei suoi anni di permanenza in prigione. Si trattava di regole pratiche e semplici, ma di provata efficacia. Alcune delle raccomandazioni di Regina furono adottate producendo magnifici risultati.

Autorizzata ad entrare e uscire dal campo quando lo desiderasse, Regina percorreva instancabile la città. Le sue abilità sociali le portava a stabilire relazioni di amicizia con ogni tipo di persone. Attraverso le sue appena acquisite amicizie la giovane otteneva informazione di vario tipo, parte della quale le serviva per cominciare a capire gli usi e costumi che prevalevano nei paesi capitalisti.

Una volta risolte favorevolmente le sue gestioni davanti il consolato messicano, Regina vendé a buon prezzo i diamanti che costituivano la sua eredità. Il possesso di una regolare somma di denaro le dava ora la possibilità di scegliere per il suo viaggio in Messico il trasporto e la rotta che ritenesse pertinente.

Nel decidere rispetto al mezzo che utilizzerebbe per ritornare al suo paese, la giovane scelse la via marittima. Da piccola aveva ascoltato con particolare interesse i racconti dei suoi genitori su quanto piacevole risultano le traversate marittime. Avendo vissuto sempre lontana dal mare, desiderava approfittare del tempo che ancora disponeva prima di iniziare la sua missione prendendo un ristoratore riposo. Un lungo viaggio marino risultava ideale per tale scopo.

Invece di comprare passaggio su una nave che, dopo attraversare l'oceano Pacifico, toccasse qualche porto messicano, Regina preferì imbarcarsi su un trasatlantico inglese che, per arrivare a coste messicane, doveva primo di attraversare gli oceani Indiano e Atlantico. Il motivo della sua decisione fu un'inspiegabile ma profonda intuizione: presentì che era per l'Oriente e non per un altro punto, per dove doveva fare il suo ingresso in Messico.

Le speranze che Regina aveva messo nel suo viaggio per mare risultarono fondate. Il contatto con le poderose energie che danno origine agli oceani costituì una tonificante esperienza. Ogni giorno scopriva qualcosa di interessante in quell'immenso organismo liquido, il cui comportamento le risultava del tutto originale e affascinante.

In un'occasione la nave si trovò minacciata per una forte tempesta. Un autentico diluvio cadeva dal cielo e forti raffiche di vento producevano una rabbiosa mareggiata che faceva oscillare pericolosamente la nave. La chiusa oscurità della notte e un'incessante sinfonia di assordanti tuoni completavano il terrificante panorama. Regina uscì dalla sua cabina e cercando di non essere vista riuscì ad arrivare a malapena fino al ponte. Senza sapere se potrebbe stabilire nel mare identica comunicazione con gli elementi come quella ottenuta a terra, esortò a grandi voci alla tempesta che si placasse immediatamente.

La petizione della Dakini fu soddisfatta subito. Improvvisamente il vento si fermò e quindi scese la violenza delle agitate onde. La pioggia cessò e le nuvole cominciarono a scomparire a grande velocità. Ben presto albeggiava e un gigantesco e risplendente arcobaleno si faceva vedere abbracciando tutto l'orizzonte.

Inzuppata ma felice, Regina rimaneva aggrappata a un corrimano del ponte, contemplando assorta il meraviglioso spettacolo offerto davanti ai suoi occhi. Improvvisamente e senza lei cercarla si stabilì una piena identificazione tra la sua coscienza e quella dell'arcobaleno. Quella fu un'esperienza singolare che le permise svelare il nascosto significato che presentano i colori nella vita dell'Universo. Come risultato di questa esperienza notò all'improvviso che non si era vestito mai adeguatamente, cioè, utilizzando un abbigliamento adatto al suo status de Dakini e alla missione che cercherebbe di portare a termine.

Senza perdere un secondo Regina ritornò nella sua cabina e si diede al compito di disegnare la divisa che le corrispondeva portare. Con ondulate lettere di colore viola tracciò su uno sfondo bianco un logotipo costituito da una parola e un numero: "Messico 68". Di seguito ripeté più e più volte la stessa parola e lo stesso numero sopra e sotto di quelli che scrivesse inizialmente. L'effetto visuale ottenuto con ciò fu di un gran dinamismo. Bastava muovere leggermente il logotipo affinché questo sembrasse trasformarsi in qualcosa che possedesse vita e che generando il suo proprio movimento avanzava con forza incontenibile.

Regina contemplò compiaciuta il disegno, poiché questo rivelava l'idea centrale che lei desiderava manifestare, cioè quella di un poderoso Movimento che spingesse il Messico in quell'anno del 1968. Tuttavia sentiva che qualcosa mancava e non dava con cosa. Quando si alzò per prendere un po' d'acqua il suo corpo sbatté con il cartone dove tracciasse il logotipo facendolo girare, in modo tale che la frase "Messico 68" passò di una posizione orizzontale a una verticale. La Dakini vide in quell'incidente apparentemente senza importanza un nascosto messaggio: doveva disegnare la sua divisa collocando il nome del Messico e la data dell'anno in una posizione verticale e non orizzontale, perché il Movimento che lei doveva promuovere nel suo paese non aveva per finalità raggiungere un semplice salto in avanti, bensì un risveglio della dormita coscienza della Nazione, un'autentica ascesa verso piani superiori raggiunta attraverso una profonda trasformazione,  che nella simbologia sacra di tutti i tempi è stata rappresentata e concettualizzata come qualcosa di "verticale" (per trattarsi di una ascesa) e non come qualcosa di "orizzontale" (cioè una continuità).

Alacremente Regina lavorò per tre giorni nella confezione di un originale vestito. Prima si lanciò a cercare per tutta la nave il tessuto che desiderava, che le fu regalato da una simpatica vecchietta irlandese. Si trattava di una fine seta di un bianco purissimo, la quale fu prontamente tagliata in diversi pezzi. Poi venne il compito più laborioso: dipingere a mano il logotipo di "Messico 68", disegnato in forma verticale e ripetuto più e più volte, come se si cercasse di riprodurre visivamente l'effetto di risonanza che avrebbero queste parole essendo pronunciate in un posto dove esistesse eco. Finalmente, la giovane unì con rinforzate cuciture i diversi pezzi e la sua divisa era finita.

La nuova tenuta di Regina metteva in risalto in modo tale la sua carismatica personalità che la notte in cui per prima volta se la mise, andando al salone da pranzo, la sua entrata produsse un mormorio di generalizzato stupore e tutti gli sguardi conversero su di lei. Il capitano de la nave la invitò personalmente a cena al tavolo d'onore. Sapendo che la sua bella passeggera piaceva di cantare -perché così gliel'avrebbero informato marinai e ufficiali- al termine dei dessert sollecitò alla giovane di cantare davanti a tutti i commensali. Regina non si fece pregare due volte e cominciò ad interpretare canzoni della sua più recente raccolta, cioè quelle imparate durante il suo soggiorno in Cina. Coloro che l'ascoltavano non capivano niente di quello che diceva, ma nonostante rimanevano silenziosi ed assorti, affascinati da quella voce capace di trasmettere ogni tipo di emozioni oltre i confini del linguaggio.

Al termine di ogni canzone si produceva grande ovazione e l'insistente appello di sentire un'altra. E la sorridente cantante accedeva compiaciuta. Dopo le cinese vennero canzoni in tibetano e tedesco. Le luci dell'alba si filtravano già attraverso i lucernari della nave quando la Dakini diede per conclusa la sua brillante attuazione.

L'arrivo della nave nel porto di Veracruz ebbe luogo a mezzogiorno del venerdì 15 di marzo 1968. Alzata da molto prima dell'alba, Regina si aveva piazzato nella prua e manteneva inchiodato il suo ansioso sguardo nell'orizzonte. Lentamente furono emergendo davanti a lei i profili delle coste messicane. Senza che lei facesse sforzo alcuno per impedirlo, grosse lacrime cominciarono a solcare il suo volto. In lontananza osservò l'innevata cima di un vulcano. Capì che si trattava dell'osservatore incaricato di annunciare al paese di quanto arrivasse per quel posto, e cercò mentalmente di comunicarsi con lui per fargli sapere del suo arrivo. Inutile sforzo. Evidenziando l'impossibilità in cui si trovava di svolgere con la funzione che le era propria, l'addormentato osservatore rimaneva senza fare attenzione a quello che accadeva intorno a lui. Ricordando che il Messico intero si trovava dominato da un sonno profondo, Regina rinunciò nell'impegno di annunciare il suo arrivo.

La lancia che la conduceva arrivò al molo e Regina saltò a terra. Per un bel po' rimase immobile; poi, incapace di contenersi, si inginocchiò e dopo di baciare il suolo esclamò euforica:

-Sta arrivando il giorno in cui saremo noi. Sta arrivando il giorno in cui vivremo.

Le procedure davanti all'ufficio di migrazione furono veloci e senza intoppi, non così quelle effettuate nella dogana. Dopo lunga attesa, Regina fu informata che il suo bagaglio era scomparso. Si trattava della sua unica valigia con effetti personali e alcuni oggetti per i quali sentiva particolare affetto. (L'immagine della Vergine di Guadalupe dipinta in lamina ereditata da sua madre, la tangka che rappresenta la dea Tara e alcuni altri ricordi del Tibet.)

Regina vide in quell'incidente una lezione che le segnalava che non doveva identificarsi con nessun possesso di carattere materiale. Anche se percepiva che l'impiegato doganale mentiva quando le diceva che non sapeva dove si trovava la sua valigia, li sorrise gentilmente e picchiettando delicatamente la sua schiena li manifestò che tale perdita non dovrebbe disturbare nessuno. Senza sentire diminuita per nulla la gioia che le provocava essere nel suo paese, la giovane uscì dall'ufficio doganale.

Appena aveva fatto alcuni metri quando Regina fu raggiunta dall'impiegato doganale che trasportava la scomparsa valigia. L'indifferenza della giovane per la perdita dei suoi effetti personali aveva suscitato i sospetti del doganiere. Temendo di cadere in alcuna trappola architettata per rimuoverlo dal suo produttivo posto, aveva scelto di restituire la valigia che momenti prima rubasse.

A bordo da un taxi guidato da un loquace soggetto, Regina si recò al centro della città. Una volta ottenuto alloggio nel confortevole ed economico hotel che le suggerissi l'autista del taxi, la giovane si diede al compito di percorrere librerie e di comprare in queste ogni tipo di opere riguardanti il Messico, specialmente quelli che contenevano fotografie di antichi monumenti archeologici.

Il giorno dopo il suo arrivo a Veracruz, Regina lo passò installata a un tavolo del Caffè della Parrocchia, sfogliando uno ad uno la sua pila di libri. Un festivo e allegro clima predominava ovunque. Incessante musica di arpe, chitarre e marimbe, inondava lo spazio. Venditori ambulanti trasportando i più diversi prodotti entravano e uscivano dal locale.

Affascinata la Dakini percorse con gli occhi e l'immaginazione gran parte degli innumerevoli monumenti archeologici sparsi in tutto il territorio messicano. Piramidi la cui forza era riuscita a domare il tempo, palazzi detentori di un misterioso fascino, osservatori che ancora rivelavano la profonda saggezza raggiunta dai loro costruttori. Le foto di quelle antichissime costruzioni evidenziavano l'esistenza di tutto un mondo potente e diverso, il quale si trovava assopito ma non morto, semi-sommerso ma non seppellito.

L'obiettivo di Regina nell'esaminare quella varia collezione di immagini, era di localizzare il luogo dove si trovava l'apparecchio con cui gli antichi messicani mantenevano controllata la trasognatezza generata dalla Luna. Non appena ebbe davanti agli occhi una foto della Piramide della Luna edificata in Teotihuacan, comprese che era lì e non da qualche altra parte dove doveva verificarsi la battaglia che - in caso di guadagnarsi - libererebbe per sei mesi all'umanità del carcere del sogno in cui la Luna la manteneva preda.

Nell'effettuare la sua scoperta Regina portava già alcune ore nel caffè e aveva fatto amicizia con alcuni dei camerieri e parrocchiani. Nell'indagare sui mezzi che doveva utilizzare per recarsi a Teotihuacan, fu informata che esisteva una ferrovia che partendo giornalmente del porto di Veracruz arrivava alla città dal Messico attraversando prima un posto nei pressi della zona archeologica del suo interesse. Insieme a questi dati la giovane ottenne un'enorme quantità d'informazione su i più diversi temi: la città di Veracruz era tre volte eroica perché i suoi abitanti avevano lottato, con le armi in mano, contro tre invasioni straniere; sia le autorità del porto, come quelle dello stato e quelle di tutta la Nazione, erano corrotte e inette; la squadra di baseball della località era la migliore del paese e un veracruzano di cognome Fuente e di soprannome "il Pirata", era stato -a giudizio degli informatori- il migliore calciatore del mondo intero.

Prima di lasciare il Caffè della Parrocchia, Regina si diede il piacere di fare una cosa che desiderava fare da tutto il giorno. Con il compiaciuto consenso dei membri di un gruppo musicale s'inserì allo stesso per imparare a suonare la marimba. Alcune spiegazioni e un po' di pratica le permisero di essere in grado di strappare melodiosi accordi, ai fini legni dello strumento. La affollata clientela non si concretò a premiare con nutriti applausi la sua musicale attuazione, bensì organizzò in modo spontaneo una colletta per pagare l'importo del suo scontrino. I grandi occhi azzurri di Regina brillavano con il fuoco della gioia mentre usciva del caffè.

La mattina seguente donò ad una scuola tutti i libri che comprasse due giorni prima, dopo si diresse alla stazione di ferrovie e salì su quello che stava per partire alla città del Messico. Aveva deciso di dirigersi immediatamente a Teotihuacan e rimanere in qualche hotel prossimo alla zona archeologica, aspettando a che trascorressero i pochi giorni che mancavano per l'Equinozio di Primavera.

Mentre avanzava il convoglio ferroviario, il paesaggio che contemplavano i viaggiatori andava variando come un gigantesco caleidoscopio. Nell'inizio predominavano estese e coltivate savane inframmischiate con ripide regioni di lussureggiante vegetazione tropicale. Successivamente, all'iniziare un'ininterrotta salita, il panorama cambiava per dar luogo ad una multicolore successione di valli, burroni e gole.

All'arrivo alla città di Orizaba il treno fece una prolungata sosta. Regina scese a sgranchire le gambe e a contemplare la maestosa figura dell'alto picco montagnoso che s'innalzava all'orizzonte. Si trattava del medesimo vulcano che osservasse dalla nave. Colossale veletta incaricato di custodire uno dei confini marini del Messico.

-Quale è il nome di quel vulcano? -domandò Regina ad un ragazzo che vendeva frutte.

-Citlaltépetl -rispose l'interrogato.

Nel sentire quella parola proferita nella lingua che imparasse di labbra di sua madre, la giovane sentì una viva emozione. Con forte voce e parlando in nahuatl, formulò suppliche e rimproveri all'addormentato gigante, esortandolo a svegliarsi. Tutto fu inutile. Il vulcano rimase sommerso nella sua insconsciencia. Una dozzina di curiosi avevano circondato Regina e l'osservavano con sguardi carichi di stranezza. La Dakini si rimproverò a sé stessa per quello che aveva appena fatto. Sapeva perfettamente che tutto il paese era addormentato e che così continuerebbe finché  non venisse effettuato il rituale destinato a porre fine a quella situazione; risultava, pertanto, del tutto ingenuo il suo atteggiamento di pretendere di dialogare con cui non poteva sentirla.

Facendo mezzo giro Regina si diresse di ritorno alla ferrovia. Non ritornò sola. La seguì una coppia di anziani contadini che viaggiavano sullo stesso treno ma in un altro vagone. I suoi bruni e rugosi volti esprimevano un rispettoso affetto. Parlando in nahuatl salutarono Regina e le manifestarono la gradevole sorpresa che avevano sperimentato nell'ascoltare le sue parole. Anche essi sapevano che il vulcano dormiva e che di ciò derivavano gravi mali, poiché il Citlaltepetl era l'incaricato di sorvegliare che non arrivassero provenienti dal mare persone o cose che potessero danneggiare il paese. Anche se, tutto questo sembrava essere stato dimenticato per le nuove generazioni, le quali si disinteressavano sempre di più delle antiche conoscenze e delle vecchie tradizioni.

Gli anziani diedero fine alla conversazione invitando Regina a trascorrere alcuni giorni nel suo modesto capanno, ubicato nella popolazione tlaxcalteca di Huamantla. La giovane esitò in un primo momento ma finì per accettare la proposta, considerando che la piacevole compagnia di quella coppia sarebbe molto meglio che la freddezza di un albergo per aspettare la già vicina data in cui dovrebbe cercare di rompere il carcere della Luna. 

La locomotiva si fermò solamente alcuni minuti nella stazione ferroviaria di Huamantla. Regina, la coppia di anziani e qualche altro passeggero scesero al binario caricando bagagli di tutte le dimensioni. La grande proporzione della Malinche, voluminosa montagna di vette a forma di cresta, era la padrona e signora del paesaggio.

Tre notti e i relativi giorni rimase la Dakini come ospite della gentile coppia contadina. Il suo soggiorno in Huamantla e le passeggiate che effettuasse per i villaggi dintorno dovrebbero risultarle particolarmente utili, sia per iniziare i suoi primi contatti con la popolazione indigena, come per incominciare a riflettere sulle caratteristiche fondamentali che distinguevano al suo paese. Nonostante lo scarso tempo trascorso a decorrere dalla data del suo ritorno, la superiore sensibilità e intuizione di Regina, l'avevano già portato a notare il trascendentale e complesso processo di fusione etnica e culturale che da secoli veniva succedendo in Messico. Prodotto di detto processo lo era la maggioritaria popolazione meticcia del paese la cui coscienza d'identità risultava ancora nascente a causa della immaturità propria della gioventù. Esisteva, d'altra parte, la popolazione indigena proprietaria di profonde e solide radici, ma colpita per la decadenza e l'immobilità. A giudizio di Regina, la cosa unica che poteva garantire il felice culmine di quel processo di fusione era il sorgere di un'arricchita identità nazionale, basata in un cosciente riscatto delle antiche radici indigene e nell'apporto altrettanto cosciente di elementi provenienti di fuori, ma affinché quello riscatto e quell'apporto fossero in realtà coscienti si richiedeva la creazione di tutta una nuova Cultura, lavoro di impossibile realizzazione mentre il paese continuasse dormendo, perché l'incoscienza propria dello stato di sogno era giustamente il contrario della necessaria lucidità di coscienza che si richiedeva per dare origine a una nuova Cultura.

Nella mattinata del mercoledì 20 marzo, Regina salì su un autobus diretto a Teotihuacan. L'atmosfera era fredda e nebbiosa. Al tempo che la mattina e il veicolo avanzavano, le dense nuvole nere cominciarono lentamente a dissolversi. Le strisce di nuvole che avvolgevano la sagoma di due ciclopiche montagne svanirono, lasciando vedere una coppia di vulcani di singolare figura. Nel contemplare quei giganteschi esseri di neve e rocce, il cuore di Regina mancò un battito e il suo polso cominciò a battere acceleratamente. Con quella superiore certezza che si raggiunge unicamente in rare occasioni, capì che si trovava davanti alla più antica e sacra coppia di abitanti del paese, i due poderosi esseri che, se lei riusciva a risvegliare, prenderebbero al suo carico la missione di iniziare il rinascimento del Messico.

Un incontenibile grido di gioia sfuggì dalle labbra di Regina. Tutti i passeggeri girarono i suoi sguardi verso la giovane, senza riuscire a indovinare la causa di quel grido.

-Come si chiamano? -domandò Regina al suo vicino di posto, al tempo che segnalava verso la coppia di montagne.

-Popo e Izta.

-Come?


-Oh, che nomi così azzeccati!

Preda ancora di febbrile agitazione, Regina prese la sua piccola valigia e arrivò fino al posto dell'autista.

-Mi scusi. Manca molto per arrivare a Teotihuacan?

-No, solo alcuni chilometri.

-Quanto dovrei farci camminando da qui fin là?

-Un'ora o due.

-Allora per favore mi lasci scendere, perché voglio almeno vedere i vulcani con tutta calma visto che non posso parlare con loro.

L'autobus si fermò e la giovane scese in mezzo alla strada. L'accompagnò un mormorio di voci generato per le opinioni dei passeggeri. A quanto pare queste si erano unificate e concordavano in qualificare Regina come una bella pazza fuggita di qualche manicomio.

Il paraggio era solitario e semi-desertico. Solamente fichi d'India e maguey [N.d T. Agave] crescevano in quel suolo calcare. Regina si allontanò un po' della strada e sedendosi in posizione di loto si dedicò a contemplare con grande cura la monumentale rappresentazione della dualità creatrice che aveva di fronte a sé.

Nonostante la sua letargia sgorgava dalla coppia di vulcani una forza indescrivibile. Quell'energia sottile che possiedono solo esseri di elevato spirito e grande antichità. Trascorso un tempo la giovane dovette fare un sforzo per vincere il desiderio di prolungare indefinitamente la sua statica contemplazione. Mettendosi in piedi prese la sua valigia e avviò la camminata, seguendo la direzione della strada ma senza andare sul ciglio di questa.

Il pomeriggio declinava quando Regina arrivò "al luogo dove gli uomini diventano dei." L'aspettava una nuova sorpresa. Il nudo scheletro della millenaria Teotihuacan continuava a testimoniare la dimenticata esistenza di una cosmica architettura. Tutto era grandiosità ed armonia. Con riverente atteggiamento la Dakini vagò per le diroccate edificazioni. Avendo iniziato il suo percorso nella piramide ornata con alternate sculture a Tlaloc e Quetzalcoatl, fu avanzando attraverso la denominata Carreggiata dei Morti. In lontananza, proveniente dalla Piramide della Luna, si ascoltava in forma ininterrotta un ritmo regolare prodotto dal forte picchiettare di due tamburi. Ad intervalli regolari si lasciava sentire il roco suonare di due conchiglie. Emozionata, la giovane comprese che quelli strumenti toccavano per lei, come un segno che non tutti gli abitanti del Messico dormivano, ma c'erano coloro che l'attendevano con grandi aspettative, desiderandole, attraverso di quel musicale messaggio, la migliore delle fortune nella prova cruciale la quale dovrebbe affrontare.

Era già buio quando Regina arrivò alle prossimità della Piramide della Luna. Tamburi e conchiglie continuavano a suonare senza sosta. La giovane cercò un posto dove rimanere in attesa di mezzanotte e s'introdusse a tentoni per tra le rovinose stanze del Palazzo di Quetzalpapalotl. A un certo punto presentì che si trovava giusto nel posto che anticamente occupasse un nascosto e sacro recinto. Estraendo della sua valigia le due femminili immagini religiose che l'accompagnavano fin da piccola, le collocò di fronte a lei e cominciò a pregare.

Per un bel po' di tempo Regina rimase pregando con intenso fervore. Minuti prima della mezzanotte tamburi e conchiglie smisero di suonare dando luogo ad un profondo silenzio. La Dakini si segnò, mise le immagini nella sua valigia e la lasciò  appoggiata accanto a un muro. Con moderato camminare uscì dell'edificio, discese alcuni scalini ed attraversò una piazzuola fino ad arrivare alla base della ampia scalinata di pietra che conduce alla cima della Piramide della Luna. In mezzo all'oscurità della notte la monumentale costruzione evidenziava ancora di più il suo enigmatico e sfidante aspetto. Senza vacillazione alcuna Regina iniziò la ascesa.

Al paese delle aquile la sua regina tornerà 
il carcere della Luna preciserà rompere.